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Era ancora sveglio.
Bobby era ancora sveglio ed era quasi mezzanotte.
Steve alzò lo sguardo dal libro – non lo stava leggendo, in realtà – e guardò il figlio. Gli occhi scuri, nel faccino pallido tra le lenzuola bianche, sembravano enormi e luccicanti d’un frenetico riflesso febbrile.
«Allora?» domandò.
Bobby non rispose. Il suo sguardo era colpevole e supplice. Steve gli carezzò la testa. Non doveva lasciarsi andare, ma…«Non dovresti dormire con la luce accesa» disse. In qualche modo, doveva pur recuperare un po’ di autorità paterna.
«Domani sera» promise Bobby.
«Dici sempre così»
Silenzio.
«Ormai sei grande. Hai sei anni».
Silenzio.
Steve si alzò con un sospiro. Il rituale cominciò.
Alzò le coperte che pendevano fino a terra e passò più volte il braccio nello spazio vuoto sotto il letto del figlio. Si alzò e scostò le tende, agitandole. Attraversò la stanza con passi lenti, poi aprì l’armadio. I vestiti di Bobby lo salutarono garruli con un plastico sbatacchiare di attaccapanni. Steve ricambiò il saluto agitandoli ancora, poi si diresse verso lo stipo che conteneva i giocattoli e lo aprì. Peluche e pupazzetti di ogni genere e forma restituirono il suo sguardo con la fissità severa e vagamente ostile che hanno gli occhi dei giocattoli quando nessuno li osserva. Steve si girò verso Bobby che controllava attento l’esatta esecuzione di ogni fase della cerimonia. Aprì i cassetti, che rimasero aperti come sbadigli di legno. Afferrò la sedia spinta sotto la scrivania e la scosse. Le gambe della sedia galopparono sonore sul pavimento. Infine pronunciò la formula magica.
«Nessun Babau» annunciò.
«Nessun Babau» rispose Bobby.
Promettendo a se stesso, come ogni sera, che quella sarebbe stata l’ultima volta, Steve uscì dalla stanza del figlio.
«Dove si era nascosto?»
«Sotto una sedia. Si era rintanato ben bene. L’ho trovato solo perché ho sentito gli artigli che grattavano il pavimento, altrimenti non l’avrei scovato».
«Faceva paura?»
Bobby guardò la panchina dove, una decina di metri da loro, stavano sedute la sua mamma e la mamma di Mike, ignare dell’oscurità sotto i loro piedi. Oh, era giorno pieno, niente avrebbe potuto nascondersi là sotto, non ancora. Ma fra qualche ora, solo fra qualche ora…
«Oh sì, come al solito. Più del solito, forse» rispose Bobby continuando a fissare le tenebre sotto le gambe di sua madre «Aveva una voce simile a quella di papà… cioè… faceva finta di essere papà, ma non era lui».
«Vuoi dire che…ti ha parlato?».
Bobby annuì. «Ce l’ha con me. È molto arrabbiato perché l’ultima volta che l’ho beccato gli ho piantato la luce in faccia e gli ho fatto male».
«La luce… eh già, quella funziona sempre. Non la sopporta proprio. Cavolo, certo che sei stato un grande. Io non avrei mai pensato a svuotare un peluche e a nasconderci dentro una torcia elettrica… ma cosa ti ha detto? »
«Ha detto che li prenderà, prima o poi. Mamma e papà. Ha detto che è solo questione di tempo. Ha detto che, presto, comincerò a diventare grande e non riuscirò più a vederlo e sentirlo… e allora li prenderà. Tutti e due».
«Forse è vero. Selly dice che i babau non esistono, ma fino a un mese fa ci credeva. Del resto ha smesso di credere anche a Babbo Natale».
«Forse è così che si diventa grandi. Smettendo di credere».
La madre di Mike doveva aver detto qualcosa di divertente perché quella di Bobby esplose in una risata argentina. Alcuni passeri, disturbati, s’involarono verso la chioma di un albero vicino.
Impossibile credere che in un mondo dove si rideva così ci fosse posto per i babau, eppure…
«Cavolo, io non ce l’ho un posto dove nascondere una torcia elettrica e così sono costretto ad accendere la luce» disse Mike «A volte mamma si arrabbia» concluse, pensoso.
«I grandi sono fatti così. Non te la devi prendere. Loro non sanno».
«Forse non è tanto male. Forse quando il babau ti prende non succede niente di speciale. Insomma… magari non fa male…».
«Non lo so» disse Bobby. Una nuvola aveva velato il sole, ma le ombre, invece di svanire, si erano infittite, come se avessero acquistato peso. I ragazzi tacquero, quasi aspettandosi di udire un debole raschiare di artigli. «Lo spero» concluse Bobby «Lo spero proprio».
«Era necessario? Era proprio necessario?».
Steve rispose guardando il soffitto della camera da letto, anche se non c’era niente da vedere perché era buio fitto. Avevano appena spento la luce ed ora stavano lì, in attesa del sonno, sdraiati l’una accanto all’altro come abiti appesi in un armadio.
«Ha sei anni. Linda. È ora che smetta di avere paura del buio. Diventare adulti è sconfiggere le proprie paure… ma non è questo il punto». Steve si girò verso sua moglie in un faticoso fruscio di lenzuola lavate da poco. «Per la miseria, aveva nascosto la torcia elettrica dentro quel vecchio peluche, sai quello a forma di leone… l’inganno, insomma. Il sotterfugio. Lo stratagemma. Questo è il punto».
«Ma forse avresti dovuto parlargliene, non portare via la torcia e basta, senza dirgli niente. Non ti ricordi come eri tu alla sua età? Non avevi paura del buio?».
Steve si girò di nuovo sulla schiena incrociando le mani dietro la testa. «Lo farò domattina» disse.
«Domattina?» stavolta era stata Linda a girarsi «E se stanotte si sveglia, cerca la torcia e non la trova? Potrebbe avere un trauma… potrebbe…».
«È troppo tardi. Credo che se ne sia già accorto. Ascolta».
Linda tese l’orecchio nell’oscurità della stanza. Sembrava essersi fatta più profonda, più vasta. Come le profondità di una caverna.
«No» disse «Non sembra Bobby. È come qualcosa che gratta alla porta».